Rainer Maria Rilke ,”La terza Elegia-”Die dritte Elegie”

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Altro è cantar l’amata. Ed altro, ahimè,
quel fluviale Iddio peccaminoso
sprofondato nel sangue.
Il giovine che suo, ella, da lungi
con l’anima ravvisa,
nulla, egli stesso, sa del Dio d’ebbrezza,
che dentro lui talvolta
(innanzi lo placasse la fanciulla;
o come se non fosse stata mai)
il suo capo divino sollevava
dai gorghi di quel sangue solitario,
scatenando la notte a un infinito
tumulto di bufere.
O Nettuno del sangue! O minaccioso
tridente dell’Iddio!
O buio vento, da quel petto, quasi
da ritorta conchiglia!
Odi come la notte si divalla
e s’incaverna… O stelle,
non proviene da voi la bramosia,
che al vólto amato il giovine sospinge?
E lo sguardo, con cui sonda e percorre
gli abissi delle limpide pupille,
oh non proviene
dalla sublime purità degli astri?

     O fanciulla, non tu;
né tu, sua madre, — gli tendeste
allora l’arco scattante delle sopracciglia
in quel cupido agguato.
Non al contatto delle labbra tue,
si piegò la sua bocca in quella curva
ch’è piú feconda di golosi frutti.
Davvero credi, che cosí lo avrebbe
squassato in ogni fibra il passo tuo
al primo sopraggiungere,
lieve come la brezza del mattino?
Il cuore, sí, gli empisti di sgomento.
Ma perché remotissime paure,
all’urto non atteso,
in lui precipitarono ridèste.
Chiamalo!… E, ahimè, da quell’oscuro mondo
interamente non potrai strapparlo…
Certo, egli anela evaderne.
Fatto piú lieve,
alle penombre del tuo cuore occulte
si avvezza già. Ne attinge. E vi si forma.
Ma quando incominciò?
Piccolo tu lo generavi, madre.
Ebbe, da te, principio. E ti fu nuovo.
Sovra quegli occhi appena appena schiusi,
il mondo amico,
piegandoti su lui, madre, inarcavi:
e ne bandivi il cupo mondo ostile.
Dove fuggito è il tempo,
in cui bastava la tua forma snella
ad annientargli il tempestoso caos?
Oh, quanti orrori, nascondesti a lui!
Il tenebrore della stanza infida,
colma di agguati a notte,
innocuo gli rendevi. E dal tuo cuore,
riboccante di placidi rifugi,
spazii piú umani confondesti, allora,
a’ suoi notturni spazii.
Non nell’oscurità, ma dentro il cerchio
del tuo stesso respiro,
sollevavi la lampada notturna,
che ribrillava del tuo stesso affetto.
Non uno scricchiolío, che non chiarivi
col tuo sorriso al figlio,
come se prevedessi ormai da tempo
quando crepiterebbe il secco legno.
Egli origliava, e si facea tranquillo.
Tanto potevi tu, solo sorgendo
tenera innanzi a lui!… Dietro lo stipo
si rifugiava allora ammantellato
il suo Destino. E si acquattava tutto
di tra le pieghe della tenda buia,
ora ravvolta, il suo Destino incerto.

     Ed egli?
Come giaceva piú leggiero, adesso,
sotto le grevi palpebre già chiuse
sciogliendo piano la dolcezza lenta
delle tue lievi forme
entro il sapore di quel greve sonno!
Difeso, egli parea… Ma dentro? Dentro,
chi respingeva, chi frenava in lui
l’onda ancestrale?
Ahi! L’incauto dormiva… Ma dormiva,
preda di sogni e febbri…
Incautamente, abbandonato al sonno.
L’essere nuovo, trepido, sgomento,
come irretito
era di già dentro il perenne crescere
d’íntimi eventi: tortili liane,
strette nel chiuso soffocante intreccio
d’infinita ramaglia,
saettata da sagome di belve!
Ed egli, incauto, si lasciava andare…
Amava quel suo íntimo mistero:
quella selvaggia primigenia selva,
sovra il cui muto crollo
s’ergea, raggiando di una luce verde,
alto il suo cuore.
L’amava… Poi, lo abbandonò: scendendo,
dalle proprie radici, entro i possenti
gorghi delle sue origini profonde,
ove il piccino evento
della nascita sua, —  era trasceso.
Amando,
si profondò nel piú vetusto sangue:
entro le gole in cui, sazio dei padri,
il Tremendo giaceva… Ed ogni orrore
lo riconobbe, súbito ammiccando
in un cenno d’intesa…
Gli sorridea cosí, che poche volte
ebbe da te piú tenero sorriso.
E come, allora, non amarlo, — madre?
Prima di te, lo amò. Ché mentre in grembo
tu lo portavi già, l’Orrore già
era disciolto entro quel dolce siero,
che fa piú lieve il germinante seme.
Guarda! Noi non amiamo — come i fiori —
nel succhio breve di un’annata sola.
Ma ci sale alle braccia, quando amiamo,
la linfa di stagioni immemorabili.
Fanciulla, ecco il mistero!
Oh non amammo, dentro noi, l’amore
che sarebbe venuto:
ma il nostro innumerevole fermento.
Non il figlio a venire. Ma quei padri,
che quasi frane di montagne dormono
giú nel fondo di noi: ma il secco greto
delle madri remote;
ma tutto il paesaggio silenzioso,
sotto il Destino nuvolo o sereno…
Fanciulla, ecco il mistero.
Ed il mistero fu, prima di te.

    E tu, che sai?
In colui che ti amava, prenatali
epoche antiche suscitavi a vita.
E quali sensi, si scavaron su,
verso la luce, tramiti di sbocco
da quegli esseri morti?
Quali mai donne
ti odiarono colà? Quali mai cupi
uomini sollevasti, ora, di nuovo
pei rami delle giovani tue vene?
Bimbi defunti, in ànsito di vita,
ecco, si protendean verso di te.

    Oh lievemente, lievemente, adesso,
ripeti innanzi a lui soltanto un gesto
rassicurante della tua fatica,
ch’è d’ogni giorno.
Accompàgnalo là, lungo il respiro
del placido giardino.
Dàgli il trabocco delle notti immenso!

    Rattienilo, fanciulla…

––––––

Eines ist, die Geliebte zu singen. Ein anderes, wehe,
jenen verborgenen schuldigen Fluß-Gott des Bluts.
Den sie von weitem erkennt, ihren Jüngling, was weiß er
selbst von dem Herren der Lust, der aus dem Einsamen oft,
ehe das Mädchen noch linderte, oft auch als wäre sie nicht,
ach, von welchem Unkenntlichen triefend, das Gotthaupt
aufhob, aufrufend die Nacht zu unendlichem Aufruhr.
O des Blutes Neptun, o sein furchtbarer Dreizack.
O der dunkele Wind seiner Brust aus gewundener Muschel.
Horch, wie die Nacht sich muldet und höhlt. Ihr Sterne,
stammt nicht von euch des Liebenden Lust zu dem Antlitz
seiner Geliebten? Hat er die innige Einsicht
in ihr reines Gesicht nicht aus dem reinen Gestirn?

Du nicht hast ihm, wehe, nicht seine Mutter
hat ihm die Bogen der Braun so zur Erwartung gespannt.
Nicht an dir, ihn fühlendes Mädchen, an dir nicht
bog seine Lippe sich zum fruchtbarern Ausdruck.
Meinst du wirklich, ihn hätte dein leichter Auftritt
also erschüttert, du, die wandelt wie Frühwind?
Zwar du erschrakst ihm das Herz; doch ältere Schrecken
stürzten in ihn bei dem berührenden Anstoß.
Ruf ihn… du rufst ihn nicht ganz aus dunkelem Umgang.
Freilich, er will, er entspringt; erleichtert gewöhnt er
sich in dein heimliches Herz und nimmt und beginnt sich.
Aber begann er sich je?
Mutter, du machtest ihn klein, du warsts, die ihn anfing;
dir war er neu, du beugtest über die neuen
Augen die freundliche Welt und wehrtest der fremden.
Wo, ach, hin sind die Jahre, da du ihm einfach
mit der schlanken Gestalt wallendes Chaos vertratst?
Vieles verbargst du ihm so; das nächtlich-verdächtige Zimmer
machtest du harmlos, aus deinem Herzen voll Zuflucht
mischtest du menschlichern Raum seinem Nacht-Raum hinzu.
Nicht in die Finsternis, nein, in dein näheres Dasein
hast du das Nachtlicht gestellt, und es schien wie aus Freundschaft.
Nirgends ein Knistern, das du nicht lächelnd erklärtest,
so als wüßtest du längst, wann sich die Diele benimmt…
Und er horchte und linderte sich. So vieles vermochte
zärtlich dein Aufstehn; hinter den Schrank trat
hoch im Mantel sein Schicksal, und in die Falten des Vorhangs
paßte, die leicht sich verschob, seine unruhige Zukunft.

Und er selbst, wie er lag, der Erleichterte, unter
schläfernden Lidern deiner leichten Gestaltung
Süße lösend in den gekosteten Vorschlaf -:
schien ein Gehüteter… Aber innen: wer wehrte,
hinderte innen in ihm die Fluten der Herkunft?
Ach, da war keine Vorsicht im Schlafenden; schlafend,
aber träumend, aber in Fiebern: wie er sich ein-ließ.
Er, der Neue, Scheuende, wie er verstrickt war,
mit des innern Geschehns weiterschlagenden Ranken
schon zu Mustern verschlungen, zu würgendem Wachstum, zu tierhaft
jagenden Formen. Wie er sich hingab –. Liebte.
Liebte sein Inneres, seines Inneren Wildnis,
diesen Urwald in ihm, auf dessen stummem Gestürztsein
 lichtgrün sein Herz stand. Liebte. Verließ es, ging die
eigenen Wurzeln hinaus in gewaltigen Ursprung,
wo seine kleine Geburt schon überlebt war. Liebend
stieg er hinab in das ältere Blut, in die Schluchten,
wo das Furchtbare lag, noch satt von den Vätern. Und jedes
Schreckliche kannte ihn, blinzelte, war wie verständigt.
Ja, das Entsetzliche lächelte… Selten
hast du so zärtlich gelächelt, Mutter. Wie sollte
er es nicht lieben, da es ihm lächelte. Vor dir
hat ers geliebt, denn, da du ihn trugst schon,
war es im Wasser gelöst, das den Keimenden leicht macht.

Siehe, wir lieben nicht, wie die Blumen, aus einem
einzigen Jahr; uns steigt, wo wir lieben,
unvordenklicher Saft in die Arme. O Mädchen,
dies: daß wir liebten in uns, nicht Eines, ein Künftiges, sondern
das zahllos Brauende; nicht ein einzelnes Kind,
sondern die Väter, die wie Trümmer Gebirgs
uns im Grunde beruhn; sondern das trockene Flußbett
einstiger Mütter -; sondern die ganze
lautlose Landschaft unter dem wolkigen oder
 reinen Verhängnis -: dies kam dir, Mädchen, zuvor.

Und du selber, was weißt du -, du locktest
Vorzeit empor in dem Liebenden. Welche Gefühle
wühlten herauf aus entwandelten Wesen. Welche
Frauen haßten dich da. Wasfür finstere Männer
regtest du auf im Geäder des Jünglings? Tote
Kinder wollten zu dir… O leise, leise,
tu ein liebes vor ihm, ein verläßliches Tagwerk, – führ ihn
nah an den Garten heran, gieb ihm der Nächte
Übergewicht…
                              Verhalt ihn…

Cesare Pavese,”Canzone”

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Le nuvole sono legate alla terra ed al vento.
Fin che ci saran nuvole sopra Torino
sara bella la vita. Sollevo la testa
e un gran gioco si svolge lassu sotto il sole.
Masse bianche durissime e il vento vi circola
tutto azzurro – talvolta le disfa
e ne fa grandi veli impregnati di luce.

Sopra i tetti, a migliaia le nuvole bianche
copron tutto, la folla, le pietre e il frastuono.
Molte volte levandomi ho visto le nuvole
trasparire nell’acqua limpida di un catino.
Anche gli alberi uniscono il cielo alla terra.

Le citta sterminate somiglian foreste
dove il cielo compare su su, tra le vie.
Come gli alberi vivi sul Po, nei torrenti
cosi vivono i mucchi di case nel sole.

Anche gli alberi soffrono e muoiono sotto le nubi
l’uomo sanguina e muore, – ma canta la gioia
tra la terra ed il cielo, la gran meraviglia
di citta e di foreste. Avro tempo domani
a rinchiudermi e stringere i denti. Ora tutta la vita
son le nubi e le piante e le vie, perdute nel cielo.

 

Georg Trakl,”De profundis”

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Georg Trakl, ”De profundis”

E-o mirişte unde cade o ploaie neagră.
E-un arbore roşietic si singuratic.
E șoapta vântului împrejmuind colibele goale –
Tristă e seara!

De pe lângă cătun
Orfana blândă adună spice de grâu.
Ochii rotunzi i se deschid aurii în amurg
În poala-i, nerăbdător, așteaptă mirele cerului.

La întoarcerea acasă
Păstorii găsiră trupul ei mic
Putrezit în mărăciniș.

O umbră sunt eu departe de întunericul satelor.
Tăcerea Domnului
Din izvorul dumbrăvii eu am sorbit-o.

Pe fruntea mea trece-un rece metal.
Păianjeni îmi caută inima.
E o lumină ce mi se stinge în gură.

Noaptea m-am găsit pe un câmp,
Înțepenit de gunoi și de praf de stele.
În aluniș
Răsunau din nou îngerii de cristal.

-traducere de Catalina Franco-
–––––––––––––––
Es ist ein Stoppelfeld, in das ein schwarzer Regen fällt.
Es ist ein brauner Baum, der einsam dasteht.
Es ist ein Zischelwind, der leere Hütten umkreist –
Wie traurig dieser Abend.
Am Weiler vorbei
Sammelt die sanfte Waise noch spärliche Ähren ein.
Ihre Augen weiden rund und goldig in der Dämmerung
Und ihr Schoß harrt des himmlischen Bräutigams.
Bei ihrer Heimkehr
Fanden die Hirten den süßen Leib
Verwest im Dornenbusch.
Ein Schatten bin ich ferne finsteren Dörfern.
Gottes Schweigen
Trank ich aus dem Brunnen des Hains.
Auf meine Stirne tritt kaltes Metall.
Spinnen suchen mein Herz.
Es ist ein Licht, das meinen Mund erlöscht.
Nachts fand ich mich auf einer Heide,
Starrend von Unrat und Staub der Sterne.
Im Haselgebüsch
Klangen wieder kristallne Engel.
Es ist ein Stoppelfeld, in das ein schwarzer Regen fällt.
Es ist ein brauner Baum, der einsam dasteht.
Es ist ein Zischelwind, der leere Hütten umkreist –
Wie traurig dieser Abend.
Am Weiler vorbei
Sammelt die sanfte Waise noch spärliche Ähren ein.
Ihre Augen weiden rund und goldig in der Dämmerung
Und ihr Schoß harrt des himmlischen Bräutigams.
Bei ihrer Heimkehr
Fanden die Hirten den süßen Leib
Verwest im Dornenbusch.
Ein Schatten bin ich ferne finsteren Dörfern.
Gottes Schweigen
Trank ich aus dem Brunnen des Hains.
Auf meine Stirne tritt kaltes Metall.
Spinnen suchen mein Herz.
Es ist ein Licht, das meinen Mund erlöscht.
Nachts fand ich mich auf einer Heide,
Starrend von Unrat und Staub der Sterne.
Im Haselgebüsch
Klangen wieder kristallne Engel.

W.B. Yeats,,”Gli ucelli bianchi”– ”The white birds”

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Io vorrei che noi fossimo, amore, uccelli bianchi su spuma di mare!
Di fiamma di meteora si stanchiamo avanti che ci sfugga o che svanisca;
Fiamma di stella azzurra di crepuscolo, al margine del cielo in basso appesa,
Nei nostri cuori ha suscitato, amore, una tristezza che non può morire.

Viene stanchezza da questi sognatori, gravati di rugiada, giglio e rosa:
Non sognare di loro, amata mia, la fiamma di meteora che scorre,
Fiamma di stella azzurra che s’indugia al calar di rugiada in basso appesa;
Io vorrei che noi fossimo mutati in bianchi uccelli su vagante spuma!

Isole innumerevoli mi turbano, e le rive fatate dove il tempo
Ci scorderebbe, dove il dolore non ci raggiungerebbe mai;
Presto lontani dalla rosa e il giglio, corrosi dalle fiamme non saremmo,
Fossimo solo bianchi uccelli, amore, sospesi sulla spuma a navigare!

–traduzione di Mario Dal Co –
________

I would that we were, my beloved, white birds on the foam of the sea:
We tire of the flame of the meteor, before it can pass by and flee;
And the flame of the blue star of twilight, hung low on the rim of the sky,
Has awaked in our hearts, my beloved, a sadness that never may die.

A weariness comes from those dreamers, dew-dabbled, the lily and rose,
Ah, dream not of them, my beloved, the flame of the meteor that goes,
Or the flame of the blue star that lingers hung low in the fall of the dew:
For I would we were changed to white birds on the wandering foam—I and you.

I am haunted by numberless islands, and many a Danaan shore,
Where Time would surely forget us, and Sorrow come near us no more:
Soon far from the rose and the lily, the fret of the flames, would we be,
Were we only white birds, my beloved, buoyed out on the foam of the sea.

Georg Trakl,”Canto notturno”– ”Nachtlied”-”Cantecde noapte”

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Alito dell’immoto. Il viso di una belva

Irrigidito dall’azzurro, dalla sua sacralità.

Possente è il silenzio della pietra.

La maschera di un notturno uccello. Dolce triade

Si spegne nell’unisono. Elai! Il tuo volto

Si china tacito su acque azzurrine.

Oh voi silenziosi specchi della verità.

Sulla tempia d’avorio di chi è solo

Brilla il riflesso di angeli caduti.
–––

Răsuflarea Neclintirii. Un chip de animal
Încremeneşte în faţa albăstrimii, a sfinţeniei sale.
Straşnică-i tăcerea în piatră.

Masca unei păsări noptatice. Suave acorduri întreite
Se pierd într-unul. Elai! Fata ta
Se pleacă mută peste apa albăstrie.

O, voi tăcute oglinzi ale adevărului!
La tâmpla solitarului, de fildeş,
Se arată reflexul îngerului căzut.
_________

Des Unbewegten Odem. Ein Tiergesicht

Erstarrt vor Bläue, ihrer Heiligkeit.

Gewaltig ist das Schweigen im Stein;

Die Maske eines nächtlichen Vogels. Sanfter Dreiklang

Verklingt in einem. Elai! dein Antlitz

Beugt sich sprachlos über bläuliche Wasser.

O! ihr stillen Spiegel der Wahrheit.

An des Einsamen elfenbeinerner Schläfe

Erscheint der Abglanz gefallener Engel.

Miguel Hernandez,”Non voglio altra luce che il tuo corpo avanti al mio. ”-”Yo no quiero más luz que tu cuerpo ante el mío”

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Non voglio altra luce che il tuo corpo avanti al mio:
assoluto chiarore, trasparenza completa.
Limpidezza il cui ventre, come il fondo del fiume,
con il tempo s’afferma, con il sangue s’affonda.

Che materie durevoli e lucenti t’hanno fatto,
cuore dell’aurora, carnagione mattutina?
Non voglio altro giorno di quello che esala il tuo seno.
Il tuo sangue è il domani che non ha mai termine.

Non c’è altra luce o sole che il tuo corpo: tutto è tramonto.
Non vedo le cose ad altra luce che alla tua fronte.
L’altra luce è un fantasma, nulla più, del tuo passo.
Il tuo insondabile sguardo mai volge a ponente.

Chiarezza senza via di declino: essenza somma
del fulgore che non cede nè lascia la cima.
Gioventù. Limpidezza. Chiarore. Trasparenza
che avvicina gli astri più lontani nella luce.

Chiaro corpo, bruno di calore fecondante.
Erba nera l’origine; erba nere le tempie.
Nera sorsata gli occhi, lo sguardo distaccato.
Giorno azzurro. Notte chiara. Ombra chiara che vieni.

Non voglio altra luce che la tua ombra dorata,
da cui scaturiscono anelli d’un’erba oscura.
Nel mio sangue, fedelmente dal tuo corpo acceso,
per sempre c’è la notte: e per sempre c’è il giorno.
–––––––––––––
Yo no quiero más luz que tu cuerpo ante el mío:
claridad absoluta, transparencia redonda.
Limpidez cuya extraña, como el fondo del río,
con el tiempo se afirma, con la sangre se ahonda..

¿Qué lucientes materias duraderas te han hecho,
corazón de alborada, carnación matutina?
Yo no quiero más día que el que exhala tu pecho.
Tu sangre es la mañana que jamás se termina.

No hay más luz que tu cuerpo, no hay más sol: todo ocaso.
Yo no veo las cosas a otra luz que tu frente.
La otra luz es fantasma, nada más, de tu paso.
Tu insondable mirada nunca gira al poniente.

Claridad sin posible declinar. Suma esencia
del fulgor que ni cede ni abandona la cumbre.
Juventud. Limpidez. Claridad. Transparencia
acercando los astros más lejanos de lumbre.

Claro cuerpo moreno de calor fecundante.
Hierba negra el origen; hierba negra las sienes.
Trago negro los ojos, la mirada distante.
Día azul. Noche clara. Sombra clara que vienes.

Yo no quiero más luz que tu sombra dorada
donde brotan anillos de una hierba sombría.
En mi sangre, fielmente por tu cuerpo abrasada,
para siempre es de noche: para siempre es de día.

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Difendere l’allegria come una trincea
difenderla dallo scandalo e dalla routine
dalla miseria e dai miserabili
dalle assenze transitorie
e da quelle definitive
difendere l’allegria come un principio
difenderla dallo sbalordimento e dagli incubi
dai neutrali e dai neutroni
dalle dolci infamie
e dalle gravi diagnosi
difendere l’allegria come una bandiera
difenderla dal fulmine e dalla malinconia
dagli ingenui e dalle canaglie
dalla retorica e dagli arresti cardiaci
dalle endemie e dalle accademie
difendere l’allegria come un destino
difenderla dal fuoco e dai pompieri
dai suicidi e dagli omicidi
dalle vacanze e dalla fatica
dall’obbligo di essere allegri
difendere l’allegria come una certezza
difenderla dall’ossido e dal sudiciume
dalla famosa patina del tempo
dalla rugiada e dall’opportunismo
dai prosseneti della risata
difendere l’allegria come un diritto
difenderla da Dio e dall’inverno
dalle maiuscole e dalla morte
dai cognomi e dalle pene
dal caso
e anche dall’allegria
Traduzione: Raffaella Marzano
_____________________
Défendre la joie comme une tranchée
la défendre du scandale et de la routine
de la misère et des misérables
des absences transitoires
et de celles définitives

Défendre la joie comme un principe
la défendre de la stupeur et des cauchemars
des neutres et des neutrons
des douces infamies
et des graves diagnostics

défendre la joie comme un drapeau
la défendre de la foudre et de la mélancolie
des naïfs et des canailles
de la rhétorique et des arrêts cardiaques
des endémies et des académies

défendre la joie comme un destin
la défendre du feu et des pompiers
des suicides et des homicides
des vacances et de la fatigue
de l’obligation d’être joyeux

défendre la joie comme une certitude
la défendre de l’oxyde et de la crasse
de la fameuse patine du temps
de la rouille et de l’opportunisme
des proxénètes du rire

défendre la joie comme un droit
la défendre de Dieu et de l’hiver
des majuscules et de la mort
des noms de familles et des peines
du hasard
et aussi de la joie

Traduit par Olivier Favier
___________________-

Defender la alegría como una trinchera
defenderla del escándalo y la rutina
de la miseria y los miserables
de las ausencias transitorias
y las definitivas
defender la alegría como un principio
defenderla del pasmo y las pesadillas
de los neutrales y de los neutrones
de las dulces infamias
y los graves diagnósticos
defenderla alegría como una bandera
defenderla del rayo y la melancolía
de los ingenuos y de los canallas
de la retórica y los paros cardiacos
de las endemias y las academias
defender la alegría como un destino
defenderla del fuego y de los bomberos
de los suicidas y los homicidas
de las vacaciones y del agobio
de la obligación de estar alegres
defender la alegría como una certeza
defenderla del óxido y la roña
de la famosa pátina del tiempo
del relente y del oportunismo
de los proxenetas de la risa
defender la alegría como un derecho
defenderla de dios y del invierno
de las mayúsculas y de la muerte
de los apellidos y las lástimas
del azar
y también de la alegría.

Mario Benedetti,”Difesa dell’allegria”–”Defensa de la alegría”

 

René Char,”La chambre dans l’espace”

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Tel le chant du ramier quand l’averse est prochaine
l’air se poudre de pluie, de soleil revenant
je m’éveille lavé, je fonds en m’élevant;
je vendange le ciel novice.
Allongé contre toi, je meus ta liberté.
Je suis un bloc de terre qui réclame sa fleur.
Est-il gorge menuisée plus radieuse que la tienne ?
Demander c’est mourir !

Estragone: – Siamo contenti. (Silenzio.) E che facciamo, ora che siamo contenti?
Vladimiro: – Aspettiamo Godot.
Estragone: – Gia, e vero.

Samuel Beckett, „Aspettando Godot”15896289_1632876023392841_19171729341603344_o

Mariangela Gualtieri

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Cosa capisco io, da qui? Capisco cosa di questo
cosa capisco di questo vuoto?
C’è tempo. C’è risposta che viene. Pazienta.
C’è risposta e c’è sollevazione. C’è tempo.
C’è risposta. C’è che fra poco viene e
sguscia questo destino, lo monda per bene.
Inchìnati. Stai tutta silenziosa. Cedi
quella tua forza indomata. Stai zitta. Quieta.
Stai a cuccia, cane! Topo! Vespa! Serpe! Poca
cosa di questo mondo creato! Pazienta. Adesso.
Tieniti quel male al petto. Crepa. Scuoti.
Rompi l’ormeggio senza indugio, ora. Spacca.
Con accetta. Con mazza. Con spada. Con
forbice affilata. Con falce, con mazzetto.
Con tutto ciò angoloso. Spacca. Getta. Costeggia.
Poi prendi mare aperto. C’è guerra dentro
te. Scarica al largo la tua zavorra.
Il mare prende e ingoia.
Sceglie poco o niente il mare. Tutto lo manda giù.

Mariangela Gualtieri